venerdì 31 maggio 2013

Vasco: "Ho pensato al suicidio, ora sono uscito dall' inferno"


Il rocker si confessa: colpito da un batterio-killer, in coma per tre giorni. "Ho rischiato di morire, mi hanno salvato i fan. Ho intenzione di morire su un palco, io, mica in un letto d'ospedale".

La malattia è dunque superata.

"Non una malattia, ma la mia guerra contro un batterio killer che ho battuto. La chiamano "malattia del terzo millennio": l'11 settembre dello scorso anno ho avuto la terza ricaduta, ho dovuto fermarmi, è stata pesantissima ma ora tutto è superato. Sono stato di nuovo in terapia intensiva, attaccato alle flebo, ho perso conoscenza per tre giorni, poi venti giorni di cure e la riabilitazione. Questo streptococco vive normalmente sulla pelle ma quando trova una ferita o un'infiammazione entra in circolo e, se ti trova con le difese immunitarie basse, comincia a distruggere tutto sino a farti fuori, in un mese. È la stessa cosa che nell'800 ha ucciso Johnny Walker, quello del whisky: si potrebbe dire di tutto e invece, guarda un po', a me e a Johnny Walker ci unisce solo lo streptococco. Lui però è morto, io sono ancora qua: ora per fortuna ci sono gli antibiotici".

Dev'essere stata un'esperienza durissima.
"Fino a due anni fa io non ero mai stato in un ospedale, mai una malattia più lunga di tre giorni, quindi puoi capire che sorpresa che mi arrivasse un conto del genere. Sono stato particolarmente male tra ottobre e novembre, non mi muovevo più bene, iniziavo a non essere più autosufficiente, la mia famiglia mi è stata molto vicina. Un braccio mi si era bloccato, non riuscivo a mangiare con la forchetta e neanche più a masticare, era colpa delle medicine e quando le ho sospese e ho cominciato a fare la fisioterapia ho ricominciato a poco a poco a muovermi".

Si sente cambiato da questa esperienza?
"Mi sembra di cogliere un aspetto in più in tutte le cose, che per la verità in alcuni casi non mi fa neanche piacere coglierlo, ma in molti altri mi dà gioia, cose semplicissime, come incontrare i fan, sono un uomo nuovo. Perché è vero che se uno nasce tondo non può morire quadrato, ma nel mio caso è anche vero che sono nato incendiario e sto morendo pompiere".

Niente più dimissioni da rockstar, dunque.
"Negli ultimi tempi ero stanco di tutto, le dimissioni da rockstar erano figlie di questo sentimento. In realtà volevo decostruire, volevo tornare al Vasco Rossi che scrive le canzoni, abbandonare il ruolo della rockstar, che è fatto di gesti e modi di essere, di luci. Volevo tornare ad essere il cantautore che sono. Ho pensato anche al suicidio. Ma non ho visto la luce nella fede, mi ha aiutato l'affetto della mia famiglia, dei fan, mi è stato di conforto Internet".

giovedì 30 maggio 2013

Grandine a go go!!

..qui grandina alla grande..da almeno 15 minuti!!

Neonato ritrovato ancora vivo nel tubo dello scarico

Era ancora avvolto nella placenta e lottava disperatamente per restare vivo, il neonato salvato dall'orribile fine a cui era stato destinato, probabilmente perchè non voluto dai genitori. L'avevano gettato nel water e poi avevano azionato lo scarico lasciandolo in balia dell'acqua, che l'ha inghiottito fino a farlo svanire. Fortunatamente è stato sentito piangere in una sezione del tubo di scarico, direttamente sotto il mobiletto del bagno, e questo ha rappresentato la sua salvezza.

I vigili del fuoco hanno dovuto rimuovere il tubo e successivamente portarlo in ospedale, dove i medici hanno dovuto utilizzare, con molta attenzione, pinze e seghe per salvare il bambino, il quale era in condizioni critiche all'arrivo in reparto, con un'evidente frattura del cranio.

Il piccolo è vivo per miracolo e adesso le sue condizioni sono stabili, come riporta il personale medico. "La madre è stata trovata ed attualmente è qui in ospedale. Ho sentito che è una ventiduenne single. Non so il motivo per cui abbia abbandonato il bambino" ha detto l'infermiera del reparto padiatrico Zhang Songhe che ha aggiunto "Sono venuti molti visitatori che hanno espresso la volontà di adottare il piccolo"

Fabiana lottò fino alla fine per non morire

Emergono nuovi tragici particolari sul massacro di Fabiana Luzzi, la sedicenne accoltellata e bruciata viva dal fidanzato.

E' stata colpita con oltre 20 coltellate Fabiana Luzzi, la sedicenne uccisa a Corigliano Calabro dal fidanzato. E' quanto emerso dall'autopsia.

"'L'ho uccisa a coltellate e poi ho bruciato il suo corpo quando era ancora viva" ha confessato il 17enne. La giovane – secondo quanto emerso nell'interrogatorio - ha anche tentato di togliere di mano al suo omicida la tanica di benzina con la quale intendeva darle fuoco.

La ragazza, benché ferita da diverse coltellate infertegli dal fidanzato al culmine di una lite per motivi di gelosia, ha reagito sino all'ultimo per sottrarsi alla morte. Quando si è resa conto che il ragazzo intendeva bruciarla, secondo quanto avrebbe riferito lo stesso diciassettenne, lei si è alzata e gli si è buttata addosso, cercando di versare per terra il contenuto della tanica.

Poi, probabilmente perché indebolita dalle coltellate, e' ricaduta a terra e il giovane le ha dato fuoco.

mercoledì 29 maggio 2013

In casa con 80 animali morti."Erano parte della famiglia!"

Vivevano con 80 animali morti dentro la propria abitazione. Una storia incredibile di degrado che viene dalla South Carolina, Stati Uniti, dove la polizia ha fatto la sconcertante scoperta in casa di Rebecca Keith, 58 anni, e delle sue due figlie, Amanda di 33 anni e Sara di 31. Gli agenti si erano presentati per eseguire un ordine di sfratto. Tra le bestie, che si trovavano in stato di decomposizione, c’erano cani, gatti, uccelli, cervi, galline e furetti. Le tre donne sono state arrestate.

Quando gli agenti sono entrati in casa, sono stati accolti da un fetore nauseabondo e hanno visto gli animali stipati nel frigorifero e nel congelatore - che avevano però la corrente elettrica staccata - e nei lavelli. Il pavimento era cosparsi di escrementi, mentre mosche e vermi avevano invaso l’abitazione. Rebecca Keith ha raccontato alle autorità di non aver seppellito gli animali poiché «erano parte della famiglia» e non voleva separarsi da loro.

Ragazzo si getta dalla finestra della scuola. Era stanco degli insulti

Uno studente di 16 anni si e' gettato da una finestra del terzo piano di una scuola a Roma. Il 16enne e' finito su un'auto parcheggiata sotto l'edificio, fratturandosi le gambe. L'episodio è avvenuto all'Istituto tecnico Nautico Colonna in via Pincherle, nella zona di Viale Marconi.Il 16enne ha fratture multiple alle gambe ed è stato subito soccorso dal Centro mobile di rianimazione del 118 di Roma e trasportato all'ospedale San Camillo.

Non ne poteva più di essere deriso perché era gay ed era stanco dell'atteggiamento di suo padre, che a volte si comportava in modo violento perché non accettava la sua omosessualità. Sarebbero queste - secondo gli investigatori che hanno ascoltato alcuni amici dello studente - le motivazioni che avrebbero spinto il ragazzino a gettarsi dalla finestra al terzo piano di una scuola a Roma.

"Sta bene dal punto di vista generale, è consapevole, lucido" afferma il direttore generale del san Camillo Forlanini, professor Aldo Morrone. "E' pentito di quello che ha fatto -prosegue - e adesso vuole soltanto guarire al più presto e tornare a casa e a scuola". Il dg ha parlato di "fratture bilaterali alle caviglie" e ha spiegato che il ragazzo sarà "fuori in tempi abbastanza brevi".

Sotto choc gli studenti. "Non lo conosciamo bene, è arrivato in questa scuola circa un anno fa quando è successo noi eravamo giù in cortile e non abbiamo assistito alla scena", raccontano alcuni studenti che non sanno 'darsi una spiegazione' sul gesto del loro compagno di scuola.

"Quando sono arrivato per soccorrerlo mi ha detto di aver pubblicato un messaggio di addio su Facebook. Io gli ho detto di stare tranquillo". A parlare è il professore che ha prestato i primi soccorsi al sedicenne. 'Gli ho detto di stare tranquillo', ha proseguito il professore. Il giovane, ha aggiunto, prima di lanciarsi dalla finestra, parlava con una compagna di classe con cui aveva particolare confidenza.

"Frequenta il II superiore, è bravo a scuola, non è un tipo allegro ma è ben integrato in classe. E' un ragazzo molto riservato", racconta un'assistente scolastica. "Io l'ho avuto l'anno scorso - spiega uno dei suoi ex docenti - e mi aveva parlato anche di problemi familiari". "E' un ragazzo fragile, sensibile", aggiunge un'altra insegnante che è andata a fargli visita in ospedale. L'assistente scolastica che, a titolo personale, è andata a trovarlo in ospedale racconta: "L'ho visto dopo che era caduto, non ci ha detto nulla, che ci doveva dire? In quel momento stava male ed era spaventato".

"Un gesto inspiegabile" per Antonio Misantone, preside della scuola. "Il ragazzo non ha mai mostrato segnali di disagio - spiega -. Siamo scioccati da quanto accaduto. Abbiamo già parlato con i compagni di classe e da domani affiancheremo loro anche la nostra psicologa".

Addio a Franca Rame, moglie di Dario Fo

Addio a Franca Rame. L'attrice, sposata con Dario Fo, era malata da tempo. È morta a Milano, nella sua casa in Porta Romana. L'allarme, mercoledì mattina alle 8.50 quando è stato chiamato il 118. I soccorritori hanno spiegato di aver tentato di rianimare l'attrice ma di non aver potuto far altro che constatarne, poco dopo, la morte. Franca Rame era stata colpita da un ictus il 19 aprile dello scorso anno nella sua casa. In quella circostanza era stata trasportata al Policlinico dove era rimasta ricoverata per diversi giorni. La sua è stata una vita dedicata al teatro, ma anche all'impegno politico e civile.

LA CRISI
Insieme per quasi sessant'anni «con gli alti e bassi» raccontò lei. Poi intorno ai 50 anni di lui, «come succede a molti uomini a quell'età, comincia a innamorarsi». Lei ne soffre moltissimo, «mi sembrava di essere diventata un pezzo della tappezzeria della casa, un oggetto senza interesse». E prova a uccidersi, «un sabato pomeriggio». Prima una riappacificazione e poi in realtà la separazione. Il matrimonio si salverà con il teatro. Dario Fo butta giù uno spettacolo: «Coppia aperta, quasi spalancata». La loro storia. Il loro amore continua. E il 30 gennaio di quest'anno, Rame nel suo blog sul Il fatto quotidiano scrive una«Lettera d'amore a Dario». Ripercorre la sua vita, racconta aneddoti famigliari. Quella voglia di tornare in teatro e i sentimenti. Poi il tentato suicidio, «non è facile morire». E un desiderio: «Penso anche al mio funerale e qui, sorrido. Donne, tante donne, tutte quelle che ho aiutato, che mi sono state vicino, amiche e anche nemiche…vestite di rosso che cantano “bella ciao”».


L' ADDIO
La camera ardente verrà allestita al Piccolo Teatro di Milano da giovedì mattina alle 10 e resterà aperta anche di notte. Venerdì mattina alle 11, poi, davanti al teatro Strehler si terrà una cerimonia laica.

martedì 28 maggio 2013

Giallo nel mondo del volley: trovato cadavere della Visser "era incinta di 3 mesi". Arrestato manager

Drammatica svolta nel giallo di Visser, e' stata uccisa in Spagna. A 14 giorni dalla scomparsa, sono stati identificati i corpi devastati dell'ex pallavolista della nazionale olandese, la 36enne Ingrid Visser, incinta di tre mesi, e del suo compagno, Lodewijk Severin, 57 anni, sotterrati nella campagna spagnola della Murcia. La notizia e' stata data dal quotidiano locale, 'La Opinion de Murcia'. I cadaveri, parzialmente sepolti, sono stati rinvenuti in una limonaia nei pressi di Alquerias. A portare la polizia sul posto sono stati indizi trovati in una abitazione a Molina de Segura, dove la coppia sarebbe stata uccisa per essere poi trasferita in campagna. Spunta anche un possibile movente per il delitto: uno dei tre uomini arrestati, Juan Cuenca, un ex dirigente della squadra di pallavolo del Murcia, doveva una forte somma di denaro al Severin, il quale puntava a farsi restituire il prestito. E' quanto e' emerso da alcune mail. La coppia era partita per la Spagna per sottoporsi a una visita di controllo dopo una cura sulla fertilita', ma non e' mai riuscita ad arrivare alla clinica. Secondo le ricostruzioni della polizia locale, Severin aveva un appuntamento proprio con Juan Cuenca. La macchina e' stata ritrovata non lontano dall'Hotel El Churra, dove la coppia alloggiava, abbandonata in una via. La svolta nelle indagini e' stato l'arresto a Valencia, sabato scorso, del 36enne spagnolo Juan Cuenca, seguito dal fermo di altri due uomini, rumeni di 47 e 60 anni, ritenuti suoi complici. Per il sindaco di Alquerias, Francisco Zamora, la zona e' accidentata e di difficile accesso, e richiede "almeno tre o quattro persone" per trasportare i corpi.

Arrestata maestra d'asilo per maltrattamenti. Telecamera nascosta filma tutto

Con l'accusa di aver maltrattato alcuni bambini, una maestra di una scuola pubblica per l'infanzia, di 43 anni, e' stata arrestata a Barletta. Alla donna e' stato concesso il beneficio dei domiciliari. Sono stati i genitori di alcuni piccoli tra i 4 e 3 anni, dopo aver saputo delle violenze, a denunciarle e a far avviare le indagini coordinate dal sostituto procuratore Michele Ruggiero.

Alcuni maltrattamenti sarebbero stati registrati da una telecamera collocata all'insaputa della maestra. Dalle immagini si vedono i piccoli colpiti dalla donna, fatti cadere, trascinati e scagliati contro oggetti di ogni genere, dalle bottigliette ai libri e al resto delle suppellettili. In particolare si vede la donna che con una mano ha un panino e con l'altra prende per i capelli un bambino e lo trascina da una parte all'altra dell'aula; poi tira l'orecchio a un altro perché sta dando un bacio a un compagno di classe o prende come un 'sacco di patate' un altro piccolo e lo butta sui banchi.

Nel corso degli accertamenti i bimbi sono stati sottoposti a colloqui psicoterapeutici. I consulti avrebbero acclarato per ciascuno di loro 'disturbi socio-affettivi' determinati dai soprusi subiti.

Episodi di una "gravità inaudita": così il procuratore della Repubblica di Trani, Carlo Maria Capristo, definisce quelli documentati e filmati dai carabinieri della Compagnia di Barletta. Il provvedimento cautelare è stato firmato dal gip Rossella Volpe.

"Abusando di autorità, poteri e prerogative propri delle sue funzioni educativo-formative -è detto nel provvedimento cautelare - violando i doveri di equilibrio e correttezza inerenti le attività di cura, vigilanza e custodia esercitate nei confronti di bambini a lei affidati, approfittando della loro condizione di particolare vulnerabilità, li ha ripetutamente maltrattati".

Miss picchiata torna dal fidanzato, il legale abbandona il caso

Dopo 14 giorni, due lunghissime settimane di degenza al Trauma Center dell’ospedale di Caserta, Rosaria Aprea ha atteso con trepidazione l’ultima visita medica ieri mattina.

Alle 13,30 è stata dimessa. Ha vinto la sua battaglia per la vita, in ospedale era giunta in condizioni gravissime la notte tra il 12 e 13 maggio scorso, colpita all’addome dai calci del fidanzato, Antonio Caliendo 27enne di Casal di Principe. Poi arrestato dalla Squadra Mobile di Caserta. Due delicati interventi chirurgici, per l’asportazione della milza e un’emorragia successiva, poi la sua forza di volontà e le cure dei sanitari le hanno permesso di recuperare velocemente. «Sono state scritte tante cose su questa storia, ora voglio dimenticare quei momenti, pensare a me e a mio figlio. Al nostro futuro». Occhiali scuri, jeans e giubbotto, accompagnata da un’amica che le porta la valigia e da un’infermiera, Rosaria ha imboccato l’ascensore.

VOGLIO RICOMINCIARE
Resta quella psicologica, non meno grave, che l’ha profondamente segnata: «Voglio ricominciare, vorrei un lavoro, non nel settore artistico. Certo prima il mio sogno era partecipare a miss Italia, ma ora le mie priorità sono altre. Lui? Io credo nel perdono, forse dentro di me l’ho perdonato, ma non all’esterno. Quando uscirà gli darò una mano per curarsi». Ieri però l’avvocato Posillipo ha rinunciato a difenderla perchè, ha detto «le scelte dell'assistita collidono sia con la mia etica professionale che con le strategie difensive». Rosaria, cosa è successo? «Parlerò con lei e vedremo. Ora voglio solo un pò di tranquillità». Nelle stesse ore davanti al Tribunale del Riesame di Napoli Antonio Caliendo, ha sostenuto quanto aveva già riferito al gip. «E’ successo tutto così all’improvviso, sono dispiaciuto ma è avvenuto durante un litigio».

LA VERSIONE DI LUI
Ora il tribunale del Riesame dovrà pronunciarsi sulla richiesta di arresti domiciliari avanzata dai legali dell’indagato. La versione di Antonio Caliendo sembra coincidere in larga parte con le dichiarazioni riferite da Rosaria la quale avrebbe raccontato anche di altri episodi violenti accaduti in passato, come le percosse subìte da Caliendo, per gelosia, subito dopo un concorso di bellezza al quale aveva partecipato qualche tempo fa. Accuse che potrebbero proseguire d’ufficio anche in vista di una ritrattazione della miss e senza il supporto di un’ulteriore querela peraltro mai formalizzata da Rosaria. In vista del suo rientro a casa il sindaco di Macerata Campania, aveva offerto un alloggio lontano da occhi indiscreti per farla stare più tranquilla.

Lei invece ha voluto ritornare nell’abitazione della madre, quella stessa casa in cui è stata aggredita e ridotta in fin di vita. Con il giovane imprenditore, padre del suo bambino di un anno, Rosaria stava progettando di andare a vivere Casal di Principe, nonostante il rapporto travagliato e violento che aveva vissuto. Poi tutto è precipitato con l’aggressione, il ricovero in ospedale, l’arresto dell’uomo che l’ha ridotta in fin di vita e che Rosaria dice di amare ancora.

Epatite A, il virus nei frutti di bosco congelati

Anche un frutto dall'apparenza 'innocua' come un mirtillo può nascondere dei pericoli. È proprio sui frutti di bosco, soprattutto quelli congelati, che si sono concentrate le attenzioni degli esperti, europei ma anche italiani, impegnati a monitorare i casi di epatite A segnalati in forte crescita. Almeno in parte potrebbero essere causati proprio dai frutti di bosco in arrivo dall'extra Europa. CASI AUMENTATI DEL 70%. L'allerta nel nostro paese è stata alzata da una circolare del ministero della Salute, secondo cui in Italia i casi sono aumentati nel periodo marzo-maggio 2013 del 70% rispetto allo stesso periodo del 2012. L'aumentata incidenza è stata registrata in quattro regioni del Centro-Nord (Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Veneto) e in una del Sud (Puglia). «Stiamo lavorando per raccogliere i dati definitivi da tutte le Regioni e per determinare con certezza la causa dei contagi», ha affermato Anna Rita Ciccaglione dell'Istituto Superiore di Sanità. Di tutte le forme di epatite quella contrassegnata con la lettera A è probabilmente la meno preoccupante. L'infezione uccide nello 0,3% dei casi che sale all'1,8% sopra i 50 anni. Fondamentale, spiegano gli esperti, è l'igiene del cibo che si consuma, che se non è cotto dovrebbe essere almeno ben lavato. Caratterizzata da un decorso acuto (stanchezza, febbre, disturbi gastrointestinali e ittero) e dalla prevalenza della trasmissione oro-fecale (come l’epatite E) rispetto a quella interumana, l’epatite A è causata da un virus a singolo filamento di Rna diffuso soprattutto attraverso l’acqua contaminata e gli alimenti venuti a contatto con la stessa. Tra i cibi incriminati, finora, c’erano soprattutto le cozze e i vegetali lavati con acqua sporcata da residui fecali. Ma più di qualche sospetto lo hanno destato proprio i frutti di bosco congelati.

IL CONGELAMENTO NON UCCIDE IL VIRUS.
«Sappiamo che il congelamento non uccide i virus, ma non avevamo mai rintracciato l’Hav in un prodotto congelato», spiega Maria Triassi, ordinario di igiene all’università Federico II di Napoli, città in cui nel 2004 si registrò una vasta epidemia italiana: 421 i nuovi casi allora conteggiati tra gennaio e aprile. «Probabilmente si tratta di una contaminazione avvenuta all’origine del prodotto e che il congelamento non è riuscito a debellare». Soltanto la cottura ad alte temperature, infatti, può inattivare il virus». I focolai della malattia, ha segnalato il ministero, sono in aumento in tutta Europa a causa di due cluster, il primo che ha coinvolto 85 pazienti dei Paesi Nord-Europei presumibilmente legato al consumo nei gelati di questi frutti congelati o nelle torte guarnite con frutti di bosco di importazione extra Ue e l'altro segnalato in 35 turisti di ritorno dall'Egitto.

lunedì 27 maggio 2013

Omicidio- suicidio tra coniugi a Milano per uno sfratto imminente

L’uomo, 52 anni, si è impiccato, dopo aver strangolato la consorte. Aveva anche problemi di alcol

Uno sfratto esecutivo imminente, una condizione economica disperata, problemi di alcol per lui e disagio psichico per lei. Queste le condizioni in cui vivevano due coniugi ,di 52 e 51 anni , trovati morti oggi nel loro appartamento, a Besate (Milano).

Il marito avrebbe prima strangolato la consorte e poi si sarebbe impiccato in casa.

A trovare i corpi questa mattina nell’appartamento è stato un muratore incaricato dal padrone di casa di realizzare dei lavori in vista dell’imminente sfratto degli inquilini. Sulla porta c’era un messaggio che invitava a entrare, con scritto «la porta è aperta». Dentro c’erano i due coniugi senza vita: la donna distesa sul letto, il marito impiccato. In casa è stato trovato un altro biglietto in cui l’autore (probabilmente l’uomo) chiede di cremare i corpi e che qualcuno si prenda cura dei loro due cani. I due non avevano figli. I carabinieri della compagnia di Abbiategrasso hanno fatto sapere che la situazione della coppia era nota ai servizi sociali di Besate. Il 52enne, originario del luogo, era da tempo disoccupato e alcolizzato, mentre la moglie, nata a Trapani, era affetta da disturbi psichici. I militari hanno inoltre spiegato che le condizioni igieniche dell’abitazione lasciavano molto a desiderare.

Giappone: incidente nucleare Tokaimura, 30 scienziati contaminati

Trenta ricercatori sono stati esposti a radiazioni a causa di un incidente in una laboratorio di fisica nucleare a Tokaimura, 120 chilometri a nord-est di Tokyo. Lo ha riferito l'Agenzia giapponese per l'energia atomica (Jaea), rivedendo al rialzo il bilancio dell'incidente avvenuto il 23 maggio a causa di un surriscaldamento durante il lancio di un raggio di protoni su alcune quantita' di oro per un esperimento nucleare sulle particelle. Il bilancio iniziale era stato di sei ricercatori contaminati. "Lo stato di salute dei ricercatori non desta preoccupazioni", ha comunicato un portavoce, spiegando che gli scienziati sono stati esposti a radiazioni di 1,7 millisievert, il che equivale a una quantita' di poco superiore di quella di un esame radiologico. Al momento dell'incidente, nel laboratorio stavano lavorando 55 ricercatori.

Il fidanzato di Fabiana: "Era ancora viva quando le ho dato fuoco".

"Era ancora viva quando le ho dato fuoco". Aggiunge orrore ad orrore il racconto fatto davanti al magistrato dal diciassettenne fermato per l'omicidio della fidanzatina sedicenne, Fabiana Luzzi, ferita a coltellate e poi finita col fuoco, a Corigliano
Calabro, grosso centro lungo la fascia ionica cosentina.

Un racconto fatto di parole fredde, trapela dal riserbo delle indagini, quasi che il protagonista in negativo della vicenda fosse qualcun altro, senza palesare il minimo pentimento o senso di rimorso. Solo in rari momenti il ragazzo, studente all'istituto industriale e che nella prossima estate festeggera' i 18 anni, si e' interrotto mostrando un minimo di emozione.

Ma quello che sembrava interessarlo di piu', nel corso del drammatico interrogatorio cui e' stato sottoposto per gran parte della notte, era quella di andare a dormire. "Sono stanco - ha detto piu' volte - voglio andare a letto". I carabinieri lo hanno tenuto per ore sotto torchio, da ben prima che, in nottata, scattasse il fermo per omicidio volontario. Da quando cioe', gli investigatori si erano resi conto che la vicenda della scomparsa di Fabiana e quella delle strane ustioni sul volto e sul dorso delle mani del diciassettenne si sovrapponevano.

Gia' da venerdi' pomeriggio, i militari della Compagnia di Corigliano guidati dal capitano Pietro Paolo Rubbo stavano cercando di chiarire il perche' della scomparsa della sedicenne, uscita dall'istituto per ragionieri che frequentava e mai arrivata a casa. Nelle ore immediatamente successive alcune amiche della giovane avevano parlato di quel ragazzo andato a prenderla col motorino all'uscita della scuola. E, quando quello
stesso giovane i carabinieri se lo sono ritrovato in ospedale con ustioni al volto ed alle mani, sono iniziati i primi sospetti.

Le domande sono proseguite per tutta la giornata di sabato, sempre piu' incalzanti. All'inizio il diciassettenne, incensurato anche se qualcuno tra le forze dell'ordine lo aveva notato per certi suoi atteggiamenti, ha provato a sviare i sospetti, sempre piu' forti, su di lui. Ha detto di essere stato aggredito da due ragazzi che lo volevano punire, a suo dire, per alcuni suoi comportamenti, ed ha fatto anche alcuni nomi. Per
non tralasciare nulla, gli investigatori hanno sentito i due ragazzi, risultati pero' totalmente estranei.

Nel tardo pomeriggio di sabato, poi, le prime ammissioni e le indicazioni per il ritrovamento del corpo, abbandonato in una stradina interpoderale, isolata e completamente al buio in una zona scarsamente abitata. E' li, tra la polvere di un viottolo ed un muro di roccia, che Fabiana ha trovato la morte. Nel modo piu' atroce e per mano di colui che diceva di amarla. A Corigliano sono arrivati anche il comandante provinciale dei carabinieri, Francesco Ferace, e quello del Reparto operativo, Vincenzo Franzese.

In nottata, infine, la confessione: "abbiamo litigato, lei ha cercato di aggredirmi ed io l'ho colpita piu' volte con un coltello pieghevole. Poi sono andato a casa, sono riuscito, mi sono procurato una tanica di benzina e sono tornato a darle fuoco quando era ancora viva". Una ricostruzione che, nei fatti, coincide con gli elementi raccolti dai carabinieri (ancora alla ricerca del coltello, che non si trova), se non per
quel "mi ha aggredito" che sa di estremo tentativo di autodifesa.

Venuto drammaticamente meno quando e' emerso il particolare agghiacciante delle fiamme appiccate ad un corpo ancora vivo. All'origine della lite un rapporto contrastato fatto di alti e bassi e, ha detto lui, di gelosie reciproche. Adesso il ragazzo e' rinchiuso nel carcere minorile di Catanzaro. Chissa' se e' riuscito a dormire. O se, nonostante il sonno, i fantasmi di cio' che ha fatto lo hanno tenuto sveglio anche oggi.

Corteo degli studenti per Fabiana: "16 anni per sempre..."

Corteo di studenti a Corigliano Calabro per Fabiana. La giovane, prima di morire bruciata, ha tentato di togliere di mano al suo fidanzato la tanica di benzina con la quale intendeva darle fuoco. Tra lacrime e applausi il corteo degli studenti è giunto sotto casa dei familiari dove, dal balcone, la mamma ha urlato "Fabiana quanta gente ti voleva bene, solo uno ti odiava". Nell' incontro con l'arcivescovo di Rossano-Cariati la madre di Fabiana parla dell'assassino: "Anche lui una povera vittima"

giovedì 23 maggio 2013

Roberta Ragusa: spunta un nuovo testimone

Un nuovo testimone, l’ultimo del caso di Roberta Ragusa: una persona che non ha mai visto la televisione, poi una rissa, gli arresti domiciliari e la visione della tv e del caso di quella donna scomparsa. Si tratta di un tunisino che dopo un anno e per un caso fortuito ha ricollegato quello che vide la notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012: lo ha raccontato agli investigatori che hanno raccolto la sua deposizione e che ora stanno accertando il racconto dei fatti. Il testimone ha accettato di farsi intervistare. Quella notte stava rientrando da una discoteca con un amico: decidono di passare da una pineta quando vedono un fuoco e due uomini che armeggiano con un lungo involucro, forse un sacco nero. Non sanno cosa stia trasportando queste due persone, forse un materasso, non sanno cosa, ma l’immagine è impressa nella memoria. Un uomo alto, magro, “con una faccia allungata”: così lo descrive l’uomo. Quella notte il testimone era con un amico a Torre del Lago a circa 20 km da Gello: è un parco con accesso pedonale ma ci sono dei varchi che per chi li conosce permettono di entrare con un’auto. La pineta inoltre termina nel lago di Massaciuccoli dove più volte gli investigatori hanno cercato il corpo della donna. Nel frattempo sono iniziati gli interrogatori: la prima è stata la madre di Antonio Logli che ha ribadito la sua versione dei fatti. Sono stati sentiti anche tre uomini alla ricerca della persona che accompagnò il marito di Roberta a casa di Loris Gozi la mattina dopo la scomparsa, fatto confermato dal testimone e dalla suocera. In particolare è stato sentito un collaboratore dell’autoscuola per capire se fosse lui l’uomo visto da Loris Gozi. I carabinieri sono poi stati in via Gigli, nella strada in cui il testimone ha visto la coppia litigare in auto, cercando tracce ematiche sull’asfalto e sulle auto di Roberta e del marito, oltre a nuove analisi in casa Logli.

Il caso Denis Bergamini: la ex iscritta nel registro degli indagati

Denis Bergamini aveva tutto: il giovane calciatore del Cosenza non aveva alcun motivo per suicidarsi come per lungo tempo si è pensato da quel 18 novembre 1989. La sua ex fidanzata, Isabella Internò oggi è indagata per concorso in omicidio volontario. La famiglia di Denis alla sua versione non hanno mai creduto: secondo il suo racconto, il giocatore quel giorno scese dalla macchina e si gettò sotto un camion che passava . Tanti elementi fin da subito non tornavano, come il gilet di Denis, intregro anche dopo il presunto investimento. Ora Isabella, allora unica testimone, potrebbe essere la chiave per risolvere questo mistero: secondo gli inquirenti era presente quando venne inscenata la morte di Denis che non fu suicidio ma omicidio.

Di questo la famiglia era convinta: Denis era all’apice della sua carriera di calciatore, lo voleva la Fiorentina in serie A, Cosenza lo adorava ed era l’idolo dei tifosi. Non c’erano motivi perché si suicidasse. Come è possibile infatti che una persona che si suppone essere stata trascinata per 60 metri da un camion non abbia riportato fratture di alcun genere? Abiti intatti, capelli in ordine, orologio intatto, neanche un segno sulla catenina che portava al collo. Il caso viene riaperto solo nel 2011: la morte di Bergamini è stata messa in scena, qualcuno lo ha ucciso. A chiarirlo c’è anche l’autopsia: il calciatore era già morto quando il suo corpo venne adagiato sull’asfalto e poi schiacciato dalla ruota del camion. Che ruolo ebbe Isabella? L’autista del camion sostenne la sua versione dei fatti: anche lui è implicato? Perché il giovane calciatore è stato ucciso?

Quella sera il giocatore lasciò i compagni di squadra dopo una serata al cinema: qualcuno lo notò con due uomini mai visti prima. Isabella raccontò che quella sera la raggiunse a casa: i due non si vedevano da sei mesi, Denis stava vedendo una nuova ragazza delle sue parti, di Ferrara. Alla nuova ragazza confessò di aver paura, di non sentirsi al sicuro a Cosenza e che l’unica cosa che avrebbe fatto di male era stato di rompere dopo 3 anni con Isabella.

Sicurezza stradale: dall' Australia ecco il water stop!

Ogni giorno le metropoli di tutto il mondo si riempiono di veicoli ed il rischio di incidenti è sempre molto alto. Il numero di veicoli in circolazione infatti è sempre in aumento (un pò meno negli ultimi anni a causa della crisi che investe il mondo dell’auto, ma questo è un’altro discorso). Da cinquant’anni a questa parte le vetture che percorrono le strade giornalmente sono quasi decuplicate. Inutile dire che in fatto di sicurezza stradale i provvedimenti da prendere non sono mai abbastanza, partendo dagli accorgimenti applicati nelle ultime autovetture ma senza dimenticare quelli riguardante la segnaletica stradale. A tal proposito vi parliamo di una novità che arriva dall’Australia, tanto curiosa quanto efficace: il Water stop. Tradotto letteralmente significa “stop ad acqua” ed in effetti è proprio quello che è ma andiamo ad illustrarvi in modo più approfondito cos’è e come funziona.

Sydney è la città più popolosa dell’Australia e nonostante sia servita da una rete ampia e molto ben organizzata di treni, autobus e traghetti, vanta una mole di traffico automobilistico davvero notevole ogni giorno. Uno dei punti più critici da attraversare nelle ore di punta è senza ombra di dubbio il Sydney Harbour Tunnel, il tunnel sotterraneo più importante nella metropolitana cittadina australiana. Annualmente sono ben 30 milioni i veicoli che lo attraversano per accedere al centro della città dalla periferia e viceversa. Il numero di incidenti che si verificano nella galleria ammonta a ben 10.500 annui.

Quelli che senza dubbio sono i più pericolosi sono causati da camion troppo alti che entrano nel tunnel. Alcuni camionisti non danno retta alla segnaletica (magari per distrazione) e finiscono così per causare grossi disagi alla circolazione e danneggiare le strutture interne dello Sydney Harbour Tunnel. Le conseguenze sono disastrose per gli automobilisti che corrono un grosso pericolo e per la comunità viste le dovute chiusure del tunnel per rimediare ai danni. Per porre rimedio a questi problemi ed evitare che si verifichino nuovamente questi incidenti, una grossa azienda australiana, la Laservision, ha inventato il Softstop, detto anche Water Stop. In poche parole è un grande segnale di Stop situato all’ingresso del tunnel che viene disegnato su di un “muro” d’acqua per mezzo di un laser. E’ scorretto chiamarlo muro poiché in fin dei conti è solamente un getto d’acqua che quindi non provoca alcun danno alla vettura nel caso in cui lo si oltrepassi. Quello che è certo è che viste le dimensioni incita con molta convinzione a fermarsi. Il curioso segnale viene azionato in automatico quando i precedenti segnali di preavviso non hanno fermato i camionisti oppure gli automobilisti in casi di chiusura temporanea del tunnel o per altri motivi. La segnaletica ad acqua resta attiva per un tempo che va da 1 a 2 minuti, generalmente il tempo necessario per interrompere il traffico e successivamente se necessario viene sostituita dalla segnaletica tradizionale. Vista l’originalità e l’efficacia del sistema, il Softstop potrebbe diffondersi pure in altre città molto grandi e trafficate.

Amanda Knox: “Ho paura a tornare in Italia”

Amanda Knox si sfoga nel corso di un’intervista trasmessa dalla Cnn e tende a dare la colpa al sistema giudiziario italiano, che, secondo lei, ha portato avanti una struttura accusatoria assurda. Non è ignare del fatto che l’opinione pubblica in Italia sia piuttosto ostile nei suoi confronti, ritenendola arrogante. Un atteggiamento che viene percepito come tale, perché Amanda ha deciso di pubblicare un libro sulla propria storia. Eppure la ragazza rivendica il diritto di difendersi, di continuare a parlare per dimostrare la propria innocenza, l’estraneità all’omicidio di Meredith.
La gente in Italia l’ha accusata di aver reagito con freddezza, ma Amanda spiega: “Nessuno sa come chi mi accusa avrebbe reagito a una situazione così drammatica, se solo fosse capitata a loro.” E poi specifica: “Ho pianto, mi sono arrabbiata, ho avuto paura. Sono queste tutte le cose che ci sono state, che ho mostrato all’esterno, che mi sono uscite fuori.”

Yara Gambirasio, pm: "Fikri non c'entra nulla"

Il pm Letizia Ruggeri, che si occupa dell'omicidio della 13enne di Brembate di Sopra Yara Gambirasio, ha escluso ogni coinvolgimento di Mohammed Fikri. "La posizione dell'operaio marocchino per me era da archiviare su tutti i fronti. Il gip ha deciso di indagarlo per favoreggiamento, il che mi costringe a fare accertamenti ulteriori", ha spiegato. "Fikri però - ha sottolineato il pm - non c'entra niente: non ha visto niente, non ha partecipato a niente".
Parlando della pista del cantiere di Mapello, il pm Ruggeri ha detto: "L'ho scartata dal primo giorno, dopo di che era doveroso approfondire e abbiamo approfondito per scrupolo. Quel cantiere non c'entra niente, non più di qualsiasi altro cantiere nella provincia di Bergamo".

"I cani molecolari hanno sbagliato, è evidente, non è colpa dei cani ovviamente, a volte sono utili altre volte no, come nel caso di Laura Winkler. E poi il fiuto di un cane molecolare non può esser considerato una prova. Nulla in questa indagine - ha affermato - ha dimostrato che l'omicidio di Yara Gambirasio abbia avuto a che fare col cantiere di Mapello".

Ritrovato morto austriaco scomparso sul Gran Sasso teramano

E' stato ritrovato senza vita Patrik Weilharter, il 24enne austriaco di cui era stata denunciata la scomparsa la scorsa settimana a San Pietro di Isola del Gran Sasso (Teramo), luogo in cui era stata ritrovata l'auto con le chiavi poggiate sul pneumatico.
Il suo corpo e' stato recuperato intorno alle 10,30 dal soccorso alpino in un canalone nel Vallone Fossa Ceca.
Il magistrato disporra' l'autopsia.

mercoledì 22 maggio 2013

WEBCAM NEGLI ASILI NIDO CONTRO GLI ABUSI, IL GARANTE DELLA PRIVACY DICE NO


ROMA - "No all'uso generalizzato di webcam negli asili nido. La tutela della personalità e della riservatezza dei minori deve prevalere rispetto alle esigenze di genitori e strutture scolastiche". Lo ha stabilito il Garante privacy che ha vietato l'uso delle webcam installate in un asilo nido privato di Ravenna. Nel corso dell'istruttoria avviata a suo tempo dall'Autorità per conoscere le modalità di funzionamento e gli scopi delle webcam, la società che gestisce l'asilo aveva spiegato che il sistema era stato installato come deterrente contro i malintenzionati, ma soprattutto per fornire un servizio che consentisse via web, ai genitori impegnati al lavoro, di monitorare costantemente in presa diretta ciò che i loro figli facevano». Così in una nota il Garante privacy, che «nel suo provvedimento ha ricordato innanzitutto, anche in riferimento a quanto precisato dalla Commissione europea, che l'impiego di sistemi di videosorveglianza deve risultare effettivamente necessario e proporzionato agli scopi che si intendono perseguire, tanto più quando si tratta di dispositivi particolarmente invasivi come le webcam. L'installazione di webcam, per stessa ammissione dell'asilo nido, era finalizzata a venire incontro alla tranquillità dei genitori piuttosto che a salvaguardare la sicurezza dei minori. Ma anche ammesso che l'obiettivo fosse quello di tutelare l'incolumità dei minori, tale finalità andrebbe comunque perseguita bilanciandola con altri interessi fondamentali del bambino, quali la sua riservatezza e il libero sviluppo della sua personalità. Non sono emersi, peraltro, neanche nelle argomentazioni addotte dall'asilo nido elementi che giustificassero il ricorso all'installazione a fini di sicurezza.

Roberta Ragusa, ultime notizie: Ris a casa di Antonio Logli

Continuano le indagini sul caso di Roberta Ragusa. I carabinieri del Ris hanno effettuato dei sopralluoghi nella casa in cui la donna viveva insieme ad Antonio Logli. Hanno controllato anche il giardino. Proprio qui è stato montato un tendone scuro, sotto il quale hanno lavorato gli esperti delle investigazioni scientifiche, che hanno preso in considerazione l’automobile di Roberta Ragusa. Nello specifico, hanno analizzato qualcosa in particolare all’interno dell’abitacolo.

Proprio quest’auto è quella che avrebbe visto il supertestimone Loris Gozi, la notte della scomparsa della donna. In Procura è stata sentita la signora Carla, suocera di Roberta. E’ stato ascoltato anche un dipendente della scuola guida di famiglia, che ha confermato la versione del testimone, secondo cui Logli si sarebbe trattenuto fuori casa oltre l’orario in cui, secondo la sua versione, sarebbe andato a dormire.

Di recente il tribunale di Pisa ha deciso di nominare un curatore a tutela della scomparsa e dei figli della donna. Il tutto è stato predisposto su richiesta del marito Antonio Logli. L’incarico è stato assegnato all’avvocato Stefano Borsacchi. Come ha spiegato Salvatore Laganà, presidente del tribunale, questa nomina rientrerebbe nella procedura prevista dalla legge. Si tratta di puntare su una figura terza, che possa rappresentare gli interessi della persona scomparsa e dei suoi eredi minorenni. In base alle norme, Logli aveva pieno diritto a richiedere tutto ciò.

D’altronde non dobbiamo dimenticare che Roberta, oltre ad essere socia dell’autoscuola di famiglia, possedeva anche dei beni immobiliari. Secondo l’avvocato di Logli, Roberto Cavani, l’imputato avrebbe agito in questo modo per tutelare la moglie, seguendo un consiglio del legale.

Il supertestimone ha mostrato il volto nel corso di un’intervista a Chi l’ha visto? e non solo: ha confessato di aver paura, di sentirsi minacciato e da qualcuno che frequenta l’autoscuola di Antonio Logli. Ha deciso di farsi vedere dalle telecamere del programma dopo che l’avvocato di Logli lo ha contattato: voleva parlare con lui, ma ha rifiutato perché temeva delle ripercussioni, soprattutto dopo che gli è stato detto che, in caso di rifiuto, sarebbe stato portato in tribunale. Non è abituato ad avere a che fare con gli avvocati e teme per la sua famiglia: da quando la notizia del super testimone è stata diffusa, dice di aver visto auto passare di continuo da casa sua, persone che lo seguono, che lo filmano con il telefonino e che queste persone frequentano l’autoscuola di Logli.

Nel corso dell’intervista Loris Gozi ha portato l’inviata del programma lungo la strada dove la notte tra il 13 e il 14 dicembre vide una coppia litigare su un’auto simile alla C3, la macchina di Roberta. La via si trova nei pressi della casa dei Logli che si vede bene: di certo quella notte non era possibile vedere chi stesse litigando visto che la strada è buia, ma con i fari dell’auto, mentre passava, Loris è sicuro di aver visto Antonio Logli. “L’ha presa e voleva portarla in auto, ha fatto tre o quattro metri e l’ha ripresa. Mi sembra poi di aver visto l’uomo chiudere forte la portiera, forse dandole una botta in testa“: questo il racconto, ma non è tutto.

Il mattino dopo Antonio Logli si recò da lui con una vecchia foto di Roberta per chiedergli aiuto: la moglie era scomparsa, aveva battuto la testa e temeva avesse perso la memoria. Una cosa normale tra vicini, ma il dettaglio su cui più volte si è insistito è che Antonio Logli andò solo da lui e non dagli altri vicini.

Il testimone racconta che in quella occasione gli mostrò la foto, guardando però spesso alle sue spalle, come a controllare se da casa sua si vedesse la strada incriminata. Lo stesso Logli fu visto il giorno dopo la scomparsa recarsi nello stesso punto in cui il testimone dice di aver visto la coppia litigare, come a controllare cosa si vedesse da lì e di certo notando la casa di Gozi, da cui si può vedere quel tratto di strada. Altre persone nei giorni successivi videro Logli nello stesso punto.

Oggi Loris si sente solo e lo ha scritto anche su Twitter: si sente seguito, quasi minacciato, sempre sotto osservazione mentre lui ha voluto solo dare il suo contributo nella ricerca di Roberta, raccontando quello che vide quella notte.

Omicidio di Castel Volturno, le due donne si sono suicidate?

Sull’omicidio di Castel Volturno si sta anche portando avanti l’ipotesi che le due donne, Maria ed Elisabetta, si siano suicidate. In effetti i risultati delle perizie hanno dimostrato la presenza di una forte dose di ansiolitici in una bacinella. In ogni caso, non sembrano del tutto esenti dalla vicenda Domenico Belmonte e il genero Salvatore Di Maiolo. E’ stata infatti riscontrata l’azione di una persona, che si sarebbe servita di acidi molto potenti, per far scomparire le unghie e i capelli delle donne. Tuttavia si sono conservati i tessuti in cotone.

I due uomini sono stati nuovamente sentiti dagli inquirenti e hanno dovuto chiarire come mai possedessero acido muriatico, pesticidi e topicidi, le cui tracce sono state rinvenute sui cadaveri. Inoltre, consultando i diari di Maria, si è scoperta una presunta relazione della figlia con Carlos, uno spacciatore uruguayano. Belmonte è stato scarcerato lo scorso dicembre. Lo ha stabilito l’ottava sezione del Tribunale del Riesame, annullando l’ordinanza di custodia cautelare per il 72enne. La decisione ha lasciato in molti perplessi. Per il dottore la libertà è arrivata dopo 23 giorni di detenzione nel carcere di Santa Maria Capua a Vetere. Il provvedimento restrittivo era stato stabilito lo scorso 16 novembre dal gip del tribunale Francesco Caramico. Belmonte è apparso più sereno e in forma rispetto alle immagini che hanno fatto il giro d’Italia quando venne ripreso dalle telecamere di Chi l’ha visto? nei momenti precedenti e immediatamente successivi al ritrovamento dei cadaveri di moglie e figlia, nascosti in un’intercapedine di casa. Il dottore è uscito dal carcere insieme al suo avvocato Rocco Trombetti. Nei primi giorni di detenzione, Belmonte era tenuto sotto osservazione per il timore di un possibile suicidio, cosa che, secondo il suo legale, non sarebbe comunque accaduta. Dall’auto dell’avvocato il dottore ha dichiarato di aver piena fiducia nella magistratura e di essere soddisfatto della decisione del Tribunale del Riesame: subito dopo la scarcerazione, si è recato nello studio del suo legale per discutere della strategia difensiva, andando poi nella villetta di famiglia a Castel Volturno, lì dove i corpi della moglie e della figlia sono rimasti per anni. Per i pm però rimane in piedi l’accusa che vede Domenico Belmonte e l’ex genero protagonisti del duplice delitto, tanto che hanno parlato di un “patto” tra i due uomini. Il dottore era stato sottoposto da parte degli inquirenti ad un lungo interrogatorio. L’ex genero, anche se indagato, resta libero. Secondo ciò che è stato ricostruito, genero e suocero avrebbero ucciso le due donne e avrebbero seppellito i loro corpi in casa, continuando a portare avanti in maniera regolare la loro vita e le loro abitudini. I due uomini si sarebbero frequentati in maniera quotidiana e avrebbero continuato ad insistere sulla loro alleanza. Nessuno dei due ha tradito l’altro per anni. Nessuna denuncia di scomparsa e nessuna testimonianza da parte dei vicini che, da un certo punto in poi, non hanno più visto le due donne. La vicenda, di cui si è parlato anche nell’ultima puntata di Chi l’ha visto? del 14 novembre, si è consumata nel più assoluto silenzio, nell’ambito di quello che si potrebbe definire un vero patto fra uomini, i quali non hanno provato nessun dolore e nessuna emozione di fronte a quei cadaveri conservati in casa. Belmonte non aveva mai denunciato la scomparsa dei familiari. La vicenda è iniziata otto anni fa, quando le due donne sono scomparse senza lasciare traccia. Per tutto il tempo Belmonte ha continuato a dire che si trattasse di un allontanamento volontario. Il 13 novembre i corpi della moglie e della figlia di Domenico Belmonte sono stati ritrovati.

I due cadaveri erano sepolti nella villetta di Belmonte di Baia Verde, un villaggio di case per le vacanze che si trova nel Casertano. Adesso si aspettano gli esami autoptici, per riuscire a stabilire se veramente i corpi ritrovati sono quelli di Elisabetta Grande e Maria Belmonte, che sono scomparse il 18 luglio del 2004. I due corpi erano distesi l’uno accanto all’altro e non presentavano segni di violenza. In seguito al ritrovamento, è stato interrogato a lungo Domenico Belmonte, il quale ha respinto ogni accusa. Il tutto risalirebbe a circa 20 anni fa, quando Domenico Belmonte, direttore sanitario del carcere di Poggioreale a Napoli, decise di trasferire la famiglia nella casa di vacanza di Baia Verde.

L’uomo in questo modo sperava di sentirsi più al sicuro. Elisabetta Grande, insegnante in pensione, e la figlia, Maria Belmonte, con un matrimonio fallito, avevano tentato di portare avanti un’attività commerciale, la quale non ha trovato molti riscontri. Qualche volta Domenico Belmonte ritornava nella sua casa al centro storico di Napoli. Dal momento della scomparsa la macchina della moglie è rimasta nel giardino di casa e l’uomo, ormai abbandonato a se stesso, non si è più allontanato dalla casa di Baia Verde. A far scattare l’intervento della polizia è stato il fratello di Elisabetta, che ha denunciato il fatto.